in occasione di festivalfilosofia persona
Artesì presenta
la persona che resta
a cura di Cristina Muccioli
opere di Armida Gandini, Cinzia Naticchioni Rojas, Stella (stefania gagliano)
io ci darei un puntino, 2019, opera di stella (Stefania Gagliano)
La vera filosofia, scriveva il filosofo Giovanni Piana, tende all’elementare. Anche l’arte lo fa, per immagini. Per questo filosofia e arte si chiedono oggi a quale prezzo, a quale condizione possiamo pensare e dire la parola ‘persona’, nome comune soltanto agli umani che, da un lato, sono tali proprio per la tecnica, dall’altro se ne fanno sostituire e costituire senza quasi accorgersene. Ormai non c’è quasi niente che una macchina non possa fare come, più velocemente e meglio di noi, nemmeno i romanzi. Possono sdegnare, non piacere come invece piacere, soprattutto al pubblico più giovanilmente nerd, ma di fatto il primo premio letterario a un romanzo scritto da un computer è stato recentemente assegnato in Giappone. Insidiata anche la creatività, che cosa davvero ci resta della nostra ‘personale’ identità, della persona umana che siamo? Galleria ArteSì di Modena propone la ricerca e il lavoro di tre artiste: Armida Gandini vincitrice del premio Paolo VI per l’Arte Contemporanea, Cinzia Naticchioni Rojas, italo-messicana vincitrice del premio Latin America fotografia 6, e Stella (stefania gagliano) scenografa e pittrice dalle rotte internazionali. Hanno svelato il secretum, o il segreto della persona tra video, scultura in vetro di Murano, fotografia su ghiaccio e pittura a carboncino e creta tre insostituibili espressioni emotive umane, mai troppo. Sono le lacrime, il sorriso e il ricordo, da non confondere con la memoria. La memoria è ormai anche di un telefonino. Quel che una macchina non può fare è dimenticare. Per questo non può ricordare, non può rimettere nel cuore, al centro della propria persona, qualcosa o qualcuno.
Cristina Muccioli
Inaugurazione sabato 14 settembre 2019 ore 18.00
Ven. 13 settembre ore 9.00 – 23.00
Sab. 14 settembre ore 9.00 – 23.00
Dom. 15 settembre ore 9.00 – 21.00
@ ArteSì, via Fonte d'Abisso 10, Modena
il sorriso del principe di napoli, 2019, opere di stella (Stefania Gagliano)
Scrive su Stella Cristina Muccioli:
Le opere di Stella dedicate al sorriso sono nell’ultima stanza della Galleria. Saranno quelle da cui ricomincerà a ritroso, il percorso dello spettatore, e quelle da cui inizia questo tentativo di interpretazione.
Stella dipinge su tela con il carboncino. La si riconosce per il tratto, per lo stile, a un km di distanza tra altre mille opere. Sono nero su bianco. Nette, figurative, rigorose, nervose ma tecnicamente dominate. Lei è come il suo disegno, la sua pittura. La linea spessa di kajal sulla rima palpebrale, la magrezza del suo corpo che prende dimora nello spazio, l’asciuttezza del suo dire, l’abisso di profondità che vi si percepisce sempre, dietro. “Il poeta produce il bello con l’attenzione fissata su qualcosa di reale”, scriveva Simone Weil ne L’ombra e la Grazia[3], dove aggiungeva: “lo stesso avviene con l’atto d’amore. Sapere che quest’uomo ha fame e sete, esiste veramente come me, questo basta. Il resto viene da sé”.
Il ritrarre volti e corpi è, per Stella, alla lettera, un trarre ripetuto qualcosa di reale, osservato con puntigliosa meraviglia. L’arco sopraccigliare lievemente alzato, il coagulo di luce che si è posato nella pupilla, la pelle che si increspa all’angolo dell’occhio, questo basta, il resto viene da sé.
Due le tele in cui non aggira, si espone, espone il sorriso per quello che è e che nessuno capirà mai pienamente: in una (Il sorriso del Principe di Napoli, 2019) gli occhi di qualcuno, che si indovinano chiari per assenza di pigmento nell’iride; nell’altra le labbra, lievissimamente piegate all’insù. Sono perpendicolari al supporto, quindi alla parete. Istintivamente si flette il capo per guardarle, come in un cenno di saluto preterintenzionale. Con la bocca si possono fare sorrisi di convenienza, di imbarazzo, di tenerezza, di circostanza, di sorpresa, di cinismo, di gioia, di meraviglia. Con gli occhi si può sorridere solo sinceramente, solo amorevolmente. Quando occhi e bocca sorridono insieme, nasce un arpeggio emotivo su viso che non conosce eguali fra gli accordi. Stella li stacca. Sta a noi immaginarli, anzi volerli, uniti.
Nelle altre due tele, compaiono due scritte. La grafia è in corsivo, bel leggibile, aggraziata ma senza abbellimenti di maniera. Una dice: Io ci dare un puntino (2019). La si guarda, la si legge, e ci si ritrova. Chi non ha suscitato il benevolente sdegno dei rimbrotti di una zia o di una nonna, fieramente oppositiva al malcostume giovanile di indossare indumenti tagliati, consunti, rovinati, nonostante i diktat della moda? Una volta, in caso di incidente al vestiario, si metteva una toppa. Il gomito liso di una giacca, il ginocchio strappato di un pantalone, venivano medicati con ago, filo e uovo di legno. Più recentemente, la riparazione sartoriale proposta dalle vecchie generazioni diventa scontro ideologico, missione educativa, richiamo al buon senso, e soprattutto, quando rievocato dal ricordo, come fa Stella con un quadro dove ha recuperato la grafia stessa della nonna da un ricettario golosamente serbato, invito al sorriso.
Con queste opere l’artista da un lato esternalizza il sorriso, in tutta la sua irrisolutezza, enigmaticità, infinità e fragilità (se rimangono spezzati, occhi e labbra sorridono inquietantemente). Dall’altro, suscita il sorriso nello spettatore, ne fa uno ‘spettattore’ che immediatamente e di slancio risponde, in silenzio. Ascolta e associa dentro di sé le frasi burbere e amorevoli delle mani grinzose che lo viziavano con la caramella, con l’asciuttezza di una pacca sulla testa per non viziare con le carezze, e con le filastrocche, e le storie che nessuna altro aveva tempo, aveva voglia di raccontare (Ho ballato col principe di Napoli, 2019). Festa, orchestra, gioielli, abiti fruscianti, le mani del principe che cingono il più bel fianco, vivono solo nelle parole delle fate Madrine. E nelle orecchie sorridenti di chi se n’è fatto imbuto, e dispensa.


